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LUCIANO CANCELLONI

Il silenzio, linguaggio universale

L’arte visiva, sin dagli inizi del XX secolo, ha subito una grande cesura nel suo modo di presentarsi. La parziale scomparsa della figurazione, l’avvento dell’astrattismo e dell’informale – sino alla computer-art - non hanno tuttavia impedito che messaggi ed emozioni raggiungessero l’osservatore. Anna Maria Artegiani, riappropriandosi del linguaggio figurativo - secondo la storia delle grandi religioni che si sono servite dell’arte per diffondere le proprie origini -, dopo aver vissuto un’epoca che ha visto capitolare la figurazione, torna a farsi pioniere del tale linguaggio con una pittura di conio religioso, nella quale a prevalere è il significato simbolico di una ritualità dettata da regole di fede. I suoi lavori non hanno la pretesa esaustiva di fornire conoscenze o l’intenzionale funzione di proselitismo, ma includono, intrinsecamente, un rinnovato approccio ed un ulteriore messaggio di valori.
Nell’esecuzione delle opere, l’artista è attenta alla rappresentazione dei personaggi nelle pose e negli atteggiamenti che manifestano una compostezza religiosa tale da dare vita al silenzio come momento di elevata meditazione e raccoglimento mistico. Un silenzio che non è solo assenza di rumore, ma ascolto intimo e privato di quei pensieri che da esso emergono, da diventare viatico e linguaggio universale ed unificante con valori assoluti.
L’artista, pur senza forzare il senso dell’immagine e con una cromia di tenui colori, trascina l’osservatore all’interno dell’opera sino a identificarlo nella rappresentazione. Pur nella ricchezza dei particolari e senza cedere alle tentazioni di una pittura di genere, evita ogni manierismo affettato per soffermarsi sugli elementi di verità. Oltre, infatti, a rappresentare le grandi religioni e filosofie - è questo l’aspetto particolarmente rilevante –, le opere non prospettano alcun sincretismo religioso, ma si impongono come messaggio ecumenico per una pacifica tolleranza. In questo abbiamo un antecedente nel filosofo perugino Aldo Capitini, uno dei maggiori profeti che auspicava un’umanità libera da dogmi e settarismi religiosi. Artista umbra, l’Artegiani, come vuole la tradizione che ogni artista sia figlio della propria terra, non poteva non risentire della presenza nella sua poetica di S. Francesco e di S. Chiara, quali ispiratori e testimoni del suo fare arte, e porre al centro il monachesimo, fatto di semplicità, sobrietà, come anche di “ricchezza” di valori riconoscibili nel silenzio, dove a parlare e a comunicare era la natura.
Artegiani fa bene a provocare con la sua arte: in un artista non dovrebbe infatti mai venire meno quel pizzico di visionaria “utopia” per scuotere l’osservatore, che a volte si appiattisce, omologandosi a questo mondo rumoroso ed inquieto. Ben vengano sempre più numerosi questi messaggi.
L’arte non è, e mai lo dovrà essere, soltanto una manifestazione fenomenologia, ma essere con l’uomo, e per l’uomo, generatrice di nobili messaggi.